Alcune tensioni famigliari non si possono risolvere se non si prova a cambiare prospettiva, a guardare le cose sotto una luce differente. Un esempio? Quando i bambini mangiano poco o male, quando rifiutano gli alimenti che il giorno prima avevano gradito o quando si chiudono in abitudini alimentari monotone e ripetitive, ogni tanto bisogna spostare il riflettore da loro a noi, perché se non comprendiamo i nostri sentimenti, non possiamo trovare soluzioni efficaci.
Ascoltiamoci, osserviamoci: come ci sentiamo? Le prime a salire a galla sono le sensazioni più razionali: siamo preoccupati che i bimbi non si alimentino in modo adeguato o che mangino troppi dolci o troppi grassi, i quali provocano danni a lungo termine.
Proprio la difficoltà di far capire loro quello che a noi appare evidente, e cioè che non insistiamo con frutta e verdura per cattiveria ma per amore, genera un sentimento di frustrazione. Com’è possibile che non comprendano le nostre buone intenzioni e perché si ostinano a non voler neanche assaggiare piatti così buoni, che magari a scuola o dai nonni hanno mangiato volentieri?
I bambini riescono a farci sentire cattivi: anche se sappiamo bene che la nostra fermezza è un atto di affetto, quando li vediamo tristi o arrabbiati ci sentiamo a disagio. Che nervi a dover vestire il ruolo del gendarme che fissa le regole… e che bello sarebbe poter dare loro solo golosità e godere dei loro sorrisi di gratitudine!
Qui c’è una piccola trappola: quando soddisfiamo i desideri dei nostri bambini, ci sentiamo bravi, come se con i loro sorrisi ci dessero un voto. Quando invece i bimbi rifiutano il cibo, è come se mettessero in discussione la nostra capacità di assolvere uno dei compiti principali di tutti i genitori del regno animale: nutrire i cuccioli.
A vacillare, in questo caso, sono le nostre stesse fondamenta. Se non sappiamo nutrire, sussurra una voce nella nostra testa, siamo degni di essere genitori? Il genitore del bambino che mangia poco o male non è solo preoccupato, triste e arrabbiato. Prova anche un senso di vergogna: non si vergogna del figlio, ma di se stesso.
Come si esce da questo labirinto di sentimenti negativi? Il punto di partenza è il rispetto. Per rispettare il bambino dobbiamo cercare di comprendere i perché dietro agli apparenti capricci. Per rispettare noi stessi, invece, è necessario capire che questi pensieri cupi appartengono a tutti e che forse proprio il fatto di provarli, e quindi di avere il coraggio di dubitare e mettersi in discussione, è una prova tangibile del fatto che siamo buoni genitori.
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